Adige. Un fiume di memorie, di Luigi Lineri
Adige. Un fiume di memorie
di Luigi Lineri
Perosini, 1993
Viaggio incantevole nell’alveo di un fiume. Nell’Adige, nel tratto di Zevio. Per trent’anni. Lo compie il poeta Luigi Lineri, quando, per lungi periodi, è reso asciutto da uno sbarramento artificiale. C’è una sinfonia che sale da pietre e ciottoli, levigati e trasformati dall’acqua fluente del fiume, con segrete forze e modi sempre imprevedibili.
Il percorso affascina e innamora Lineri; egli ne sente un ancestrale richiamo, non limitato e chiuso, talvolta malizioso e sensuale, leggero e profondo, che lo esorta a ricerche tormentose e liete. Ne ascolta gli accenti mitici e umani e la semplicità folta d’echi.
I frammenti hanno aspetti vitali, rivelano una lirica schietta, viva e attuale; hanno linee appena sbozzate, parole di classici, vicine al nostro cuore.
E Lineri cammina e torna indietro e ricomincia continuamente. Quelle pietre, quelle forme, nella loro acerbezza, lo ammaliano; le gira e le rigira tra le mani, le accarezza, le bacia anche per sentire un fantastico mondo.
Non è un mondo silenzioso e vuoto, ne scopre invece una suprema illusione di canto, che miracolosamente si sostiene dopo la distruzione di tutte le illusioni.
Lineri reputa pure le “morfo” di quelle pietre come ataviche offerte votive, respinte da una mitologica divinità offesa e adirata. E ne avverte la minaccia, l’ammonimento alla società, perché ritrovi buon senso e giusto equilibrio che farebbero riscontro nelle figure che va raccogliendo.
Per decenni ha studiato le enigmatiche testimonianze di pietre raccolte nell’Adige. Le ha riunite orinandole per dimensione, forma e direzione.
Ne ha goduto la ricchezza di motivi e di immagini, come fossero una sua poesia dialettale appena creata, che fa vivere le cose evocate dentro un lume di mondo sopravvissuto. Ha disposto quelle forme come lettere o come note di un enorme capitolo, di un’antica sinfonia ritrovata.
“Alle parole- annota Luigi Lineri – ho preferito i silenzi dei “giaroni”. Alle parole scritte ho preferito l’immagine. A personali considerazioni la visione d’insieme”.
Ogni pietra si lega all’altra. Ogni pannello conduce all’altro.
Un pellegrinaggio che riconduce alle sorgenti.
Ed è ancora l’anima del poeta che non riesce a spogliarsi dei suoi sogni e dei suoi idoli, abbraccia la “rugosa realtà”, è percossa dalla dura esistenza, ma ne sente la favola, il mito nelle colorite apparenze del cosmo, nei diversi volti della vita, ed anche il brivido pungente nella minacciata disgregazione.
Il volume è magnificamente illustrato da splendide fotografie, divise in diciassette gruppi: dal volto umano al simbolo maschile, alla testa di uccello acquatico, al muso allungato, alla testa di pesce, alla testa di pecora, alla testa di cane, alle testa di equide, alla mascella pesante, alla grande madre, al simbolo femminile, alla testa di maiale, alla testa di bovide, alle forme indefinite, alle forme sovrapposte, al “muso da du musi”, agli strumenti.
Luigi Lineri si muove nel suo viaggio, dentro l’alveo dell’Adige, nel tratto della terra natìa, con intelligente curiosità. Lascia i sentimenti nella loro seducente indeterminatezza ed aspira prepotente la ricerca con una significazione assoluta reggendone per anni le esigenze. E le pietre si fanno segni d’immagini, simboli dal cosmo, creati dall’Onnipotente.
Il dono ancestrale, offerto dal ricercatore-poeta, si schiude alla luce e si esprime nelle sue parole con una voce ignota, quasi d’un “sepolto” che canta in lui.
GIUSEPPE FACCINCANI, L’Arena, Maggio 1994
Informazioni bibliografiche
Cartonato
320 p., ill.
italiano
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